Arrivati a un certo punto
testo inedito dedicato a Bruno Vidoni, alias Roger Walker
Angela suona il campanello. Una, due, tre volte. Sente una voce in lontananza. Aspetta. Dopo cinque minuti appare Bruno, con un sorriso. E' il suo prof, lo conosce da un mese e ancora non è riuscita a capire a chi assomiglia quella bocca, che le sembra così familiare. In fondo al corridoio a sinistra, c'è la camera oscura, che è anche laboratorio, sala di posa, archivio. Nella parete di destra, dove c'è l'ingranditore, con il pennarello ci sono segnati i numeri di telefono più importanti, e alcune frasi, in spregio a Hemingway, Chatwin, e tanti altri scrittori-viaggiatori, che tenevano numeri e appunti ben nascosti in quelle agendine piccole chiamate moleskine, diventate nell' era del computer oggetto di culto tra gli aspiranti scrittori.
"Buongiorno prof., le ho portato altre cinque pagine della mia ricerca", Angela lo affronta senza preamboli.
"Le leggo nel pomeriggio. Ora guarda queste foto. E' il mio tentativo di raccontare un sogno. Che non ho capito. Che non capisco. Voi giovani non vi fermate più sui sogni. Vi svegliate con le cuffiette della sera prima ancora attaccate alle orecchie. Con l'amaro in bocca di una bevuta o di uno spinello. Io gli spinelli li ho messi in bocca ad un'anatra. Ma solo per una fotografia, per una pubblicità-progresso un po' provocatoria".
"Prof che fine ha fatto l'anatra?"
"Cosa c'entra, quello che conta è l'effetto. L'impatto che può avere il messaggio. Arrivati ad un certo punto l'importante è capire se sei riuscito a comunicare la tua opinione, la tua sensazione. Tutto il resto non conta". "Come nelle sue foto di guerra vero prof?"
"Cioè? Spiegami, vediamo come le hai capite"
"Sì lei ha fotografato dei suoi amici dietro il fiume Reno, facevano finta di essere in Vietnam o in Irlanda, non lo so, e le ha mandate a dei giornali dicendo che erano state scattate proprio in quei posti. Insomma li ha fregati. Si è fatto beffa della verità delle fonti. O no?"
"Si, vedo che nonostante l'orecchino al naso e quell'enigmatico tatuaggio, che prima o poi ti fotograferò, la tua mente elabora."
"Guarda queste altre foto, voglio il tuo parere".
Angela si ritrova tra le mani dei pezzi di carta fotografica, a lei non dicono molto, anzi sta quasi per cambiare argomento, quando Bruno le congela il pensiero, con una spiegazione da docente universitario, spaziando dai tagli spaziali di Fontana alle sperimentazioni fotografiche degli anni sessanta. Era meglio dire subito che erano belle, avrebbe evitato di sentirsi così inadeguata e giovane.
Eppure quella bocca gli è così familiare.
Passa qualche anno, Angela si fa donna, la ricerca sui pittori centesi l'ha dimenticata, si è persa in tante altre ricerche, sempre in mezzo ai suoi coetanei a far finta di essere grande.
Arrivati a un certo punto, Angela guarda le sue fotografie, le mette in fila e si accorge che una delle tante ricerche che ha fatto potrebbe avere un senso.
Gli viene in mente il prof, forse lui la può aiutare.
E' imbarazzata, l'altra volta, l'altro incontro era stato più libero, gli condizionava meno la vita. Stavolta il suo giudizio è molto più vincolante.
In effetti Bruno non è generoso sul giudizio: questa foto l'avrei fatta così, quest'altra andava tagliata di più, cosa c'entrano quelle scritte sopra le teste dei manifestanti? Insomma le foto sono proprio poverine, però qualcosa si può fare.
Dopo qualche giorno Angela è a Ferrara a parlare con dei signori che "sistemano la storia", che fanno ricerca etnografica. Non le sembra vero, già dal primo incontro si parla della possibilità di fare un libro, una mostra.
"Sai Bruno che Roberto mi ha parlato di fare un gruppo, di fare delle ricerche, ne sai qualcosa?", attacca al telefono Angela.
"Sì si, è un'idea interessante...", Bruno si sofferma pensieroso sui puntini. Lei è come lo vedesse dall'altra parte del telefono, con un pezzo di carta fotografica scaduta tra le mani, di quella che gli tiene da parte un laboratorio di Bologna, che per lui vale oro, la tratta come fosse l'ultimo foglio di carta al mondo, come i fogli che cercava disperatamente Victor Hugo per i suoi romanzi. "dicevi Angela, scusa...", Bruno cerca di attaccare quel foglio ancora bagnato di fissaggio alle piastrelle della camera oscura, e si perde a guardarlo con l'ansia di un bambino.
"Certo che per te è tutto interessante", insiste Angela, "allora ci vieni mercoledì a Ferrara? Ci sarà anche Don Franco".
"Interessante, sì, forse", replica chiudendo la telefonata Bruno, (che a volte ricorda l'ispettore Colombo).
Il giorno dopo Bruno entra dalla parrucchiera, Angela è già ai colpi di sole finali, è pronta per uscire, ma Bruno prende il primo giornale che trova sul tavolo e inizia i suoi ragionamenti ad alta voce.
"Interessante questa fotografia, mi chiedo come avranno fatto a farla. Io non sono capace. Però mi ricordo un esperimento simile che ho fatto qualche anno fa. E' semplice, prendi una gelatina rossa... e guarda quest'altra, interessante, potremmo utilizzare questa tecnica per fotografare la Pastora della comunità Valdese sul Po, ci vuole una luce di taglio, un pò soffusa".
Angela chiede alla parrucchiera se può prendere il giornale, così può portare fuori Bruno, perché per lui ogni pagina, di quel giornale qualsiasi, è fonte di ispirazione.
Salgono in macchina e si avviano verso Suzzara. Il paesaggio è quello di sempre, Angela non ci fa caso, canticchia le canzoni di Renato Zero. Bruno invece è come davanti a un film: "Ecco i fili della luce, pensa una volta non c'erano. Nelle foto ci vogliono, perché fare come fanno molti che inquadrano la campagna senza gli elementi della modernità? Guarda quell'infilata di pioppi, non li trovi di una bellezza geometrica unica?".
Angela continua ad ascoltare Madame, è la sua canzone preferita, però annuisce ai ragionamenti di Bruno. "Fermati. Chi sono quelli là sull'argine?".
"Boh, mi sembrano matti, anzi utenti di un servizio psichiatrico", risponde con indifferenza Angela.
"Fermati subito che gli facciamo una foto". Bruno ha già la gamba fuori dalla Ritmo grigia.
"Ma guarda te", pensa Angela, "anche i matti ci tocca fotografare, la prossima volta gli dico che sono impegnata, non possiamo fermarci tutte le volte che vediamo qualcosa di strano. Ne abbiamo ancora di strada, di questo passo la ricerca sul fiume Po non la finiamo più".
I matti sono lì, in fila, una catena di sguardi intensi, rivolti verso il grande fiume. In effetti sono interessanti, poetici. Interrogano i misteri del fiume con la stessa profondità e inquietudine del poeta, sono lì, in gruppo, fermi, per contrastare il flusso costante dell'acqua. Angela rivede in quella scena un famoso quadro di De Chirico. Bruno l'aveva visto prima di lei, capisce che hanno fatto bene a fermarsi. Angela spegne la radio, e articola tra sè frasi che potrebbe utilizzare un critico in una presentazione: "Bruno è fatto così, è un intuitivo, un raffinato antropologo dello sguardo, per lui ogni persona o cosa è sempre fonte di ispirazione, riesce ad ammantare di bellezza ogni soggetto, bello o brutto che sia. Ogni incontro umano diventa un'apparizione, da fotografare, da studiare, da scrutare, con l'eccitazione di un antropologo arrivato nella più sperduta delle tribù". "Ogni persona porta con se una storia".
Bruno quasi urla.
Angela lo guarda, rivede quella bocca che gli ricorda qualcosa, il caldo è soffocante, la radio sta trasmettendo una canzone della Premiata Forneria Marconi, un gruppo storico, legato all'infanzia di Angela, Bruno non la conosce, e infatti non ci fa caso.
"Ogni storia va approfondita, studiata, e se si riesce rappresentata. Non importa come, se con un disegno, una fotografia, una scultura, un fotomontaggio. A me piacciono le cose informali, che escono dal perfezionismo fine a se stesso: le linee possono anche essere storte, sghembe, se sono funzionali ad una emozione o una atmosfera da trasmettere".
Stavolta è Bruno che parla come un libro scritto, che sta dettando inconsapevolmente ad Angela il suo "manifesto estetico", la rappresentazione del mondo vista con i suoi occhi. Ma Angela bada a guidare, sta sudando, lei non riesce a fare pensieri così precisi e fermi. Angela fa le fotografie come le chiedono di fare, non ha ancora un suo stile, non si può permettere di pensare a nessun manifesto.
La notizia che devono partire per Catanzaro è arrivata da un giorno all'altro.
Domenica mattina Angela e Bruno sono già in uno dei paesi più a sud d'Italia. Incontrano Salvatore e Rosalba nel bar centrale. Dopo un quarto d'ora Bruno ha già raccontato la sua vita. Una parte di Catanzaro conosce il manifesto estetico di Bruno Vidoni. Rosalba gli fa gli occhi dolci, e lui le promette di fotografarla già la mattina dopo nelle cave o nella fornace. Si dividono in due gruppi, le ragazze quasi tutte con Bruno, gli altri con Angela. Anche Rosalba vede nella bocca di Bruno qualcosa di già visto, lo dice ad Angela, ma lei è chiusa in camera oscura a stampare i provini della fornace.
Angela si ferma all'improvviso, ferma la macchina e scende a capofitto per fotografare un gregge di pecore. Bruno la gela: "ce-ce-ce-centinaia di fotoamatori hanno fotografato pecore, tramonti, e mamme con in braccio bambini, non farai mica anche tu quella fine, così scontata!".
Angela non dice niente, con una scusa torna in macchina, e si rimette a fischiettare Baglioni. Fischia molto. Tutta la notte, fino a Rimini.
"Ti ho mai parlato di Santa Bladina?", Bruno toglie dall'imbarazzo Angela, "Santa Bladina, viveva da queste parti, era molto venerata, lo testimoniano i molti ex - voto trovati in antiche cappelle di campagna. Sai alcuni me li hanno dati e ce li ho nello studio, domani te li faccio vedere. Uno dei miracoli della santa è quello di aver salvato un ragazzo che stava per cadere nel canale, toccandogli il culo. Non vorrei sembrare blasfemo ma è così".
Sono arrivati a Rimini da dieci minuti, e Bruno ha già trovato una ragazza che assomiglia tantissimo a Marilyn Monroe, le sta già parlando, probabilmente tra qualche minuto le comincerà a fare qualche foto.
Alla sera con un gruppo di dieci ragazze dell'organizzazione del convegno, fanno il giro delle discoteche.
Bruno è senza freni, scatta anche nelle posizioni più improbabili, Angela lo guarda ammirata, il suo flash è attivissimo, mentre lei pensa una foto lui ne scatta dieci. Dopo tre ore, nel piazzale del "Paradiso", la ragazza più carina del gruppo, lo guarda, lo riguarda e poi timidamente gli dice: "Sa che lei ha lo stesso taglio della bocca di Vasco Rossi!".
Dedicato a Bruno Vidoni, mio primo maestro e compagno di viaggio, che ha insegnato ad Angela, cioè a me, il più bel mestiere del mondo. Andrea Samaritani.
Ho scritto questa storiella per raccontare alcuni piccoli episodi che ho impressi nella memoria, dei viaggi (piccoli o grandi che siano) che ho fatto con Bruno. Episodi che spero diano l'idea della sua grande voracità di raccogliere, rappresentare e raccontare storie (piccole o grandi che siano). Bruno non prendeva appunti, registrava con la sua mente. Quella mente che lasciava un posto anche per te, che gli entravi dentro, potevi ragionare come lui. Un eterno bambino, che si appassionava per una ferrovia periferica, per un molino abbandonato, per un ingranaggio arrugginito. Di lui si fidavano, posavano al primo invito. Silvia l'ha vista al supermercato e le ha chiesto di posare. Lei c'è stata. Subito. Andrea gli ha chiesto un racconto. L'ha scritto il giorno dopo. Gli ha chiesto una foto sul tema dell'editore che non c'è. Ha posato per lui, senza pensarci due volte.
Con lui ho scoperto il mito della provincia, delle piccole storie, della leggendaria Padania, la bassa ferrarese, l'inesauribile ricchezza delle terre natìe, delle nostre terre. Lui ha inventato "l'improbabile verità della fotografia", e ha continuato a raccontarla fino all'ultimo dei suoi giorni.
La sua voglia di insegnare: quasi che spiegando le cose agli altri mettesse ordine nella sua testa. Un modo di insegnare interattivo, si direbbe oggi. Un prof modello. La mattina a scuola, il pomeriggio a fare ricerca. A modo suo. Lui la storia la conosceva, e riusciva a tradurre in documenti fotografici o artistici la realtà quotidiana, quella che distrattamente ci passa accanto. Una mamma che saluta sua figlia e la nipote sul treno Suzzara-Ferrara, è già una storia, come l'ambulante del Bangladesh è una fonte importantissima di informazioni, e non un semplice extracomunitario.
Invitato nei gruppi. La voglia di partecipare, le storie che debbono essere raccontate, comandano loro, hanno la precedenza sul vissuto, sui vissuti. La sua libertà di raccontare. La signora anziana che prega sotto la statua di Sant'Antonio, a Padova, è un grido di dolore, un compianto contemporaneo, una foto apparentemente malriuscita, ma che rivista più volte diventa straordinaria e di un'efficacia unica, ti si imprime nel cervello, e non ne esce più. La sua magia nel trasformare una persona qualsiasi in un attore.
Bruno era smaliziato. Conosceva le materie, i materiali, i legni e le superfici dei mobili, degli oggetti d'arte, le epoche, magari non sapeva dirti il giorno o l'ora quando gliele chiedevi, ma le cose e gli uomini li conosceva bene e sapeva come ottenere le informazioni che gli servivano.
Le storie da raccontare.
Quando non ci riusciva con la macchina fotografica, lo faceva dettandole alla Marina che batteva sui tasti della macchina da scrivere, o le dipingeva sulla tela, o le componeva ritagliando giornali, incollandoli su cartoni e spruzzandoci sopra vernice, che non si capiva più se erano appunti da trascrivere o se erano opera d'arte in se e per se. Tutto era uno strumento, un mezzo per far fluire la sua immaginazione. L'automobile, la macchina fotografica, una penna, un registratore, tutta roba di poco conto, barattata se necessario, superata, senza valore in se. Il valore, il motivo della sua vita era quello che poteva venire fuori da quegli strumenti.
In automobile ci si può anche perdere, se si va dietro ad un proprio pensiero. Si rallenta mentre si sta pensando o parlando con un compagno di viaggio.
Andrea Samaritani, luglio 2005
|
|
|