Dopo il suono della campanella anziché correre a casa, come tutti i suoi compagni del liceo, Fior Di Stagno inforcava la bici e correva sull’argine del fiume Po, a Pontelagoscuro, a sbirciare quegli adulti intenti a sistemare luci, fondali, microfoni e una grande macchina di ferro chiamata cinepresa. Il sedicenne Fior Di Stagno assisteva dal vivo alle sue prime lezioni di cinema, “on location” diremmo noi oggi. Era il 1942, la troupe del set del film “Ossessione” di Luchino Visconti, era in azione sul territorio ferrarese. Un mondo affascinante e irresistibile per il giovane Florestano Vancini, che si firmava con lo pseudonimo goliardico di Fior Di Stagno, sul giornalino “La voce dello studente” del liceo A.Roiti di Ferrara, sul quale pubblicava recensioni cinematografiche. “Vedendo girare quel film non avevo capito nulla, perché quando si assiste dall’esterno alla realizzazione di un film sembra di vedere dei matti che stanno facendo cose insensate. Il film si rivelò per me, e per quelli della mia generazione, un grande momento di maturazione culturale e politica”. Così ha dichiarato Vancini di quell’esperienza e di quegli anni. Così nasce un regista.“Ha cominciato scrivendo recensioni di film su vari giornali, poi l’inevitabile trasferimento nella capitale, perché il cinema si fa solo a Roma, tenendo però sempre ben presente la sua città di origine, quella che ha fatto da sfondo, reale o ricostruito, in quasi tutte le sue opere”. Ci spiega Paolo Micalizzi, critico cinematografico, autore della importante biografia “Florestano Vancini, tra cinema e televisione”, Longo Editore Ravenna, 2002. L’esordio nel cinema avviene nel 1949, con un documentario, “Amanti senza fortuna”. Narra la tragica vicenda d’amore di Ugo d’Este e Parisina Malatesta, i due amanti fatti decapitare la notte del 21 maggio 1425 da Niccolò III, di cui erano rispettivamente figliastro e sposa, nei sotterranei della Torre “Marchesana” del Castello Estense. Storia raccontata anche nel poema “Parisina” di Lord Byron. Ancora oggi c’è chi giura di veder rotolare le loro teste sulle strade acciottolate della città. Suggestione della storia.“Vancini aveva un grande rapporto con la sua città, dove ritornava spesso da Roma” ci racconta Micalizzi “questo suo grande amore per Ferrara oltre che per la sua storia, l’aveva espresso bene, in modo intenso e sentito, nel documentario del 1951 ‘La città di Messer Ludovico’ (tra l’altro andato perduto, oggi non ne esiste nessuna copia consultabile), dedicato al sommo poeta Ludovico Ariosto che della città aveva proclamato: ‘Ferrara la più adorna di tutte le città d’Italia’. Vancini amava la figura del poeta, del quale ci sono molte testimonianze nella città: la scultura dell’Ariosto posta su un altissimo piedistallo in quella che è considerata il simbolo di Ferrara ‘Piazza Ariostea’, la tomba all’interno dell’Università e la sua dimora nella via omonima”.L’ultimo mediometraggio, si chiama semplicemente “Ferrara”, è del 1995. I testi recitati sono dello stesso regista, le riprese sono state realizzate con un linguaggio moderno, un continuo piano-sequenza, ravvicinato, sui monumenti gioiello della città estense: Palazzo Schifanoia, il Duomo, il Castello, Palazzo dei Diamanti con la Pinacoteca Nazionale, Palazzo Massari con la Galleria d’Arte Moderna, Casa Romei, il monastero di Sant’Antonio in Polesine. Il fiume Po, dove dai suoi argini, si può vedere il suggestivo skiline della città. Le mura che, come le definisce il regista, sono “il primo tratto del volto della città”. Si sofferma sui dipinti del Boldini, di De Pisis, sulla chiesa di San Cristoforo alla Certosa, lungo la Strada degli Angeli -poi con l’addizione erculea rinominata Corso Ercole I° d’Este, la grande prospettiva rinascimentale voluta da Biagio Rossetti nel cinquecento-. “Davanti allo spettacolo del Castello di San Michele, tutti, sudditi e forestieri dovevano restare incantati e intimoriti” ci racconta sempre Vancini. “La lunga notte del ’43 ”, del 1960, è il primo lungometraggio del regista. Tratto da “Cinque storie ferraresi” (1956) di Giorgio Bassani. Sceneggiato insieme a Ennio De Concini e Pier Paolo Pasolini. “L'esordiente Vancini ha tratto un film che, oltre a una fervida tensione morale e a una dura chiarezza di denuncia, vanta un preciso senso dell'atmosfera, nella descrizione di una Ferrara invernale e cupa”, nelle parole della critica cinematografica del tempo. Il film, nello stesso anno, riceve il premio "Opera prima" alla Mostra di Venezia, e il Nastro d'Argento va a Enrico Maria Salerno, come attore non protagonista. Nel film ci sono delle scene girate nella piazzetta del Savonarola e in via Palestro. Ines, una delle sorelle del protagonista, è una tal Raffaella Pelloni, attrice esordiente che poi diventerà la bionda conduttrice che conosciamo tutti: la Carrà di “Carràmba che sorpresa”.“Amore amaro”, il film del 1974 , è ambientato prevalentemente in Piazza Ariostea, dove il regista ha abitato per un periodo. Nel film ci sono portici a fianco della piazza, la prospettiva di Corso Giovecca, e le mura con una scena focosa tra Antonio e Renata, gli amanti. Il film è liberamente tratto dal racconto omonimo di Carlo Bernari ambientato a Roma, mentre il regista ha voluto girarlo nella sua Ferrara. Perché la città estense rendeva meglio “quell’atmosfera sonnolenta, dove il tempo pareva scandito dal lento passare del Po, e gli stati d’animo si perdevano nella profondità della pianura padana”. La critica lo saluta come un film “che fa splendere Ferrara: la città è di più di una cornice, diventa un personaggio”. “Amava molto le stradine di Ferrara, la parte della città inedita, quella poco conosciuta dal grande pubblico”, conclude Micalizzi “la città da percorrere nelle prospettive delle sue strade rinascimentali, nelle apparizioni improvvise di palazzi, chiese, piazze e giardini, nei suoi vicoli medievali, nella cerchia delle sue mura. Una città da girare in bicicletta. Mi raccontava: noi siamo nati in bicicletta, quando vengo qui non vedo l’ora di montare sulla ‘bici’ e visitare i luoghi della mia giovinezza. Farlo in bicicletta è anche una questione logistica, in un'altra grande città sarebbe impossibile”.
Andrea Samaritani, settembre 2008
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