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Lo sguardo circolare
Guardo il quadro, che mi guarda. Nascere nella terra del Guercino significa crescere specchiandosi nelle grandi tele con soggetti che ti guardano, in pose classiche, con espressioni senza tempo, che ti raccontano storie millenarie.Quando mi sono specchiato nei quadri del Guercino, all'inizio degli anni novanta, ero un giovane operatore culturale, un fotografo esordiente. Di fotografie e di libri ne avevo realizzati ancora pochi, però avevo già un bel bagaglio di conoscenze e di letture che mi permettevano di accostarmi alle tematiche che man mano affrontavo con una impalcatura cognitiva e iconografica già formata. Avevo già visto il fondamentale lavoro di Ugo Mulas, il fotografo che ha inventato i ritratti degli artisti in un epoca, gli anni sessanta, nella quale non c'era l'abitudine di svelare gli studi d'artista. Avevo studiato le opere di Michelangelo Pistoletto, superfici lucide con figure umane dove l'osservatore si specchia nel quadro e ne diventa parte. Mi ero ritrovato nelle stanze spoglie di Gianfranco Ferroni, che avrei voluto riempire con le mie fotografie. Mi ero creato un catalogo mentale sui tantissimi ritratti di Benjamin Katz realizzati fuori e dentro gli studi degli artisti tedeschi degli anni settanta. Mi avevano fortemente e in modo irresistibile condizionato le ombre lunghe di De Chirico. Le grandi tele del Guercino erano spunti, pose da fissare, espressioni da ricordare, sfondi da analizzare, atmosfere da percepire, storie da ricreare, da cercare nella realtà. Ma in quale realtà? Vicina o lontana? Nella realtà monotona della nostra di pianura? Oppure in quella elettrizzata delle metropoli dove passa il grande mondo dell'arte e della fotografia? Ancora oggi me lo chiedo, oscillando incerto tra due ambienti così distanti e opposti tra loro. In quegli anni si formava in me l'idea del "teatrino": cercavo situazioni di vita quotidiana che contenevano persone che casualmente diventavano attori, secondo i canoni del teatro. Da fotografare. Persone, che inconsapevolmente accendevano dialoghi virtuali con l'ambiente, le città, i monumenti, le opere d'arte. Persone, passanti, che diventavano "silhouettes", che poi ho continuato e continuo a cercare nelle gallerie d'arte, nelle fiere e nelle piazze, per farle diventare cover di riviste o soggetti per le fotodipinte. Il dialogo, quasi teatrale, tra soggetti umani e soggetti raffigurati in superfici bidimensionali o tridimensionali, è stato ed è tuttora l'ossessione che caratterizza il mio lavoro artistico. Questa mostra, e questo catalogo sono la testimonianza dell'inizio di questa mia ricerca. Primi timidi tentativi di giocare sul rapporto grafico che si crea tra la realtà e la sua rappresentazione artistica. Quegli anni sono stati una grande opportunità per misurarmi su questo terreno. Nella mia città si era formato un gruppo di critici d'arte, collezionisti, operatori culturali e funzionari pubblici, coordinati da un baronetto inglese, che si muoveva in punta di piedi, Sir Denis Mahon, che coralmente hanno creato a Cento il più grande evento artistico del secolo scorso. Il grande atelier di restauro ospitato nella bianchissima chiesa di San Lorenzo, il backstage degli allestimenti delle mostre, le scritte, le insegne e i cartelli nelle strade, le riunioni e le presentazioni erano diventati, così per incanto, quel teatrino che andavo cercando. Non occorreva andare in chissà quale altra realtà, bastava stare a Cento per documentare il compleanno di Giovanni Francesco Barbieri detto Il Guercino.
Andrea Samaritani, agosto 2011
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