"Qui a Bobbio ho girato il mio primo film, quello che mi ha dato un'identità, che poi ho conservato, costruito, elaborato". Se non fosse perché la sua faccia è così famosa, Marco Bellocchio potrebbe essere confuso con una comparsa o con uno dei corsisti che tutti le estati, in luglio, arrivano a Bobbio da ogni parte d'Italia per partecipare a Fare Cinema la scuola di cinema giunta quest'anno alla dodicesima edizione. Marco Bellocchio passeggia per il borgo della Val Trebbia con la naturalezza di un qualsiasi abitante, con quell'aria spensierata e leggera di chi sta bene in quel posto, senza far pesare che è lui il direttore della scuola.
"Tra queste mura, in queste strade, da queste finestre ho concepito e girato il film I pugni in tasca." Era il 1965, Marco Bellocchio era alla sua opera prima, appena ventiseienne, I pugni in tasca è il film che gli ha permesso di entrare nel mondo del cinema, considerato dalla critica "vero cinema d'autore". Il film è stato girato interamente a Bobbio, nei luoghi dove la famiglia Bellocchio trascorreva e trascorre ancora oggi le vacanze estive. Il regista ha voluto usare proprio la casa di campagna della madre, per ambientarci la maggior parte delle scene del film. Altre scene sono state girate lungo la strada statale 45, costruita per collegare Piacenza a Genova seguendo il corso del fiume Trebbia, lungo un percorso che segue l'andamento della montagna, a zig zag tra scorci di selvaggia bellezza.
Il film presenta e analizza alcune dinamiche familiari, malate, anticipando quelle forme ancora embrionali di ribellione, che poi si vedranno ben espresse, qualche anno dopo, nel '68. Dal dirupo di Castelletto c'è la scena chiave del film: il protagonista ammazza la madre buttandola giù dalla scarpata. In un'altra sequenza, Sandrino, dall'interno della torre campanaria del Duomo di Bobbio, guardando verso i tetti del borgo, recita una frase chiave di Cechov: "Che l'età verde sarei dannato a consumare in questo natìo borgo selvaggio". Evidenziando l'eterno conflitto tra restare e partire. Il dilemma che attraversa, da sempre, le persone e in particolare gli autori: restare provinciale a godere il paese natìo o andare a cercare fortuna lontano perdendo per sempre i ritmi tranquilli della propria casa?
Un conflitto che Bellocchio ha risolto da anni. Nato a Piacenza, a ventanni si trasferisce nella capitale per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dove tuttora vive. Tutte le estati però torna a Bobbio, nella signorile casa in via Contrada di Borgoratto, "Per me è come un ritorno alle origini, mi offre l'occasione di realizzare un approfondimento artistico nello stesso contesto da cui sono partito. Quando mi hanno proposto undici anni fa di tenere questo corso ho accettato perché è un modo attivo per tornare alle origini, non per sedermi su una panchina a parlare del tempo passato con i miei coetanei, o a giocare a carte, in un modo pascoliano, ma lavorando insieme ai giovani. Discutere con loro mi stimola molto ed è un modo per vivificare questi quindici giorni che passo a Bobbio".
Nel 1980 il regista gira un film documentario dal titolo esemplificativo: Vacanze in Val Trebbia. La location è sempre Bobbio, ma questa volta con una attenzione particolare al fiume. Nel film il protagonista entra ed esce dalla galleria San Salvatore a bordo di un letto, che galleggia sul fiume spinto dalla corrente. Un'immagine onirica. Il fiume come grande contenitore di storie.
"Il Trebbia è un fiume ancora salvo, l'acqua è limpida e pulita, è però un fiume fragile. Ogni anno c'è una sottile ansia se il fiume sia ancora vivo." Bellocchio si compiace a parlare del suo fiume, "ancora oggi vado a fare il bagno nel Trebbia, con mia figlia. L'acqua del fiume è rimasta bella e trasparente come quando eravamo piccoli, e questo non ci faceva avere nessun senso di inferiorità rispetto a chi andava al mare. Avevamo già il nostro mare, dove ci stavamo dalla mattina alla sera."
Da Barberino in su, verso San Salvatore, il fiume crea delle anse spettacolari, ogni punto è buono per bagnarsi e le acque del fiume non sono mai particolarmente fredde. Viste dal fiume le colline piacentine sono ancora più belle, Brugnello, ad esempio è antico borgo abbarbicato sul colle vicino a Marsaglia che sembra uscito da un film ambientato nel medioevo.
Bobbio è un borgo antico, con una storia millenaria, conteso da tanti imperi e casati: i Liguri, i Galli, i Romani, i Malaspina, i Visconti, i Dal Verme, lo Stato Milanese, fino agli Stati Sardi. Nell'ottocento è stato perfino capoluogo di provincia, poi è tornato in provincia di Piacenza solo nel 1923.
La cartolina di Bobbio è lo spettacolare ponte a 11 archi diseguali tra loro. Il Ponte Vecchio, chiamato anche Gobbo, è lungo 280 metri. E' il ponte sul fiume Trebbia, maestoso. Conosciuto anche come Ponte del Diavolo, dalla leggenda popolare che ne racconta la creazione, come tanti altri ponti similari nel mondo: San Colombano ansioso di portare la parola di Dio alle popolazioni che vivevano sull' altra sponda del fiume accettò di stipulare un patto con il Diavolo. Quest'ultimo si impegnava a costruire un ponte in una sola notte in cambio dell'anima del primo essere vivente che lo avrebbe attraversato. Il mattino seguente sebbene con forma e arcate irregolari, dovute alla diversa altezza dei diavoli che durante la notte ne avevano sostenuto la costruzione, il ponte era terminato ed il monaco Irlandese dovette tener fede alla parola data, facendo però transitare per primo un cane.
Anche Bellocchio insieme ai ragazzi del corso, nel 1999, ha attraversato il Ponte Gobbo per girarci una sequenza di un cortometraggio con un gruppo di anziani, che giocano a carte sotto l'albero del bar dall'altra parte del fiume rispetto al paese, tra cui quel Gianni Schicchi, attore piacentino presente in tutti i film del regista.
Nel IX secolo il monaco irlandese Colombano, poi consacrato santo, costruì un'abbazia facendo di Bobbio un centro di cultura europea. Nel complesso dell'abbazia, c'è un importante museo storico-archeologico dove sono esposti: alcuni plutei longobardi, oggetti liturgici, diverse anfore romane, una Teca in avorio del IV-V secolo, la preziosa lapide di Cumiano, le ampolle portate dai pellegrini dalla Terrasanta, un polittico con Madonna e Santi e la famosa natività del Lanzani. Mentre nei locali dell'ex refettorio da alcuni anni è stato aperto il Museo della Città, un percorso didattico multimediale per conoscere la storia della città, gestito dalla cooperativa CoolTour (tel. 0523-960242 0523-960242 ). Il salotto di Bobbio è la piazza del Duomo. Le poltrone buone sono quelle della Pasticceria Davico (tel. 0523-936228 0523-936228 ). Tutti i giorni il pasticcere Pierluigi Callegarin prepara la "torta rosa", un dolce particolare perché ha tre lievitazioni, non è caratteristica della zona, ma ciononostante val la pena di sentirla perché è veramente fatta in casa.
Nella contrada dell'Ospedale c'è la "Montmartre" dei bobbiesi: l'artigiano di cose di legno, il laboratorio del pittore Andrea Arcaini, l'erboristeria dedicata al santo patrono, e in fondo alla via il locale più originale del borgo: l'enoteca-ristorante San Nicola. Una osteria ricavata dentro una chiesa sconsacrata! Sono forse nati qui i vini da meditazione? Certo che no, eppure l'associazione di parole ci sta a pennello, perché oggi è molto piacevole sedersi nei tavoloni dell'enoteca a bere vino, laddove per secoli i fedeli ci andavano per la messa. Una piccola e simbolica provocazione, come è nello stile di Bellocchio. Il regista che a forza di girare film e cortometraggi a Bobbio, ha trasformato l'antico borgo in un paese-set, dove ogni angolo è stato inquadrato e dove tutti, chi più chi meno, hanno fatto da comparsa per l'amato regista piacentino.
Andrea Samaritani, maggio 2007
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